mercoledì 26 gennaio 2011

L'Attenzione

Il poeta statunitense Donald Revell disse che “l'attenzione è un fatto di totalità, di essere pienamente presenti”.

L'attenzione, ai tempi di Internet, è sempre quella, ma come tutte le metafore per stabilire concetti astratti, nel momento in cui un nuovo mezzo di comunicazione fa la sua comparsa, diventa molto più complessa da definire.

La totalità è senz'altro una delle caratteristiche della Rete, e la piena presenza una conseguenza innata dell'essere eternamente connessi. Eppure, paraddossalmente, se prendiamo per buona la definizione di Revell, con tutto il suo sintetico fascino, l'Attenzione diventa altra cosa, e quasi spogliata del suo significato originario prende vita propria e diventa il terzo incomodo della Rete.

Totalità-Piena presenza-Attenzione. Potrebbe essere la triade ideale, quella che tutti gli entusiasti dell'Internet potrebbero, dovrebbero, augurarsi, perché l'Homo Theoreticus, quello umplugged, diventi l'Homo Partecipans teorizzato da De Kerckove:

Alla lunga, il cambiamento psicologico più importante sarà forse che, nel momento in cui cominciamo ad esplorare le percezioni tattili esterne nei nostri processi allargati di pensiero, la nostra coscienza personale, normale, interiorizzata, si esteriorizzerà. L'intero mondo esterno diventerà un'estensione della nostra coscienza, proprio come avveniva per le culture più primitive del pianeta. Questo non sarà la fine, ma l'eliminazione dal centro della scena dell'Homo Theoreticus, sostituito dall'Homo Partecipans.

Ciò che probabilmente sfugge a De Kerckove è lo straordinario potere che gli strumenti di comunicazione hanno, di qualsiasi tipo essi siano, di modificare le nostre capacità cognitive.

L'Homo Partecipans sembrerebbe teorizzato appositamente per l'uomo di Internet, ma perché si possa parlare di coscienza è necessaria una forte attenzione, appunto, verso la percezione di ciò che siamo e di ciò che ci circonda, nonché una totale padronanza dell'espressione e dunque del linguaggio che veicola il messaggio.

È necessaria una forte riflessione innanzitutto filosofica sulla conoscenza, che nulla ha a che vedere con l'informazione in sé, il dato spoglio, nudo e crudo, tanto caro ai teorici della comunicazione cosiddetta Standard.

Ma la riflessione, il silenzio, la meditazione non sono certo caratteristiche della nostra era, e tanto meno di Internet. L'attenzione di cui parlavamo, è un attenzione veicolata oramai al tempo reale, alla velocità, all'ansia di sentirsi pienamente presenti, totali, nonostante il limite dello spirito ci imponga da sempre di rallentare. L'Attenzione di queste pagine è un abominio dell'intelletto, un accumularsi morboso di frasi, slogan, dati, espressione di un'epoca in cui pare che si sia persa ogni riflessione meta-comunicativa sugli strumenti del sapere.

L'attenzione di Revell, in queste pagine non viene nemmeno sfiorata, è totalmente assente, sostituita dallo stare bene attenti a essere totalmente e pienamente distratti.

Alberto Salarelli, nel suo Biblioteca e Identità, sostiene che “un mondo ove la tendenza prevalente sia quella di tradurre tutto in informazione risulta terribilmente noioso”. Sono d'accordo, ma siamo certi che questa “noia” sia conscia in ognuno di noi”? Siamo certi di possedere gli strumenti per combattere questo flusso inarrestabile d'informazione che ci travolge, sconvolge, capovolge, ogni giorno? Credo di no.

John Freeman, nel suo libro La tirannia dell'email, paragona il fenomeno della dipendenza dall'email - metafora dell'informazione, della comunicazione in tempo reale senza lasciar spazio alla riflessione - al gioco d'azzardo. Il fenomeno, che è stato ampiamente studiato e oramai rientra appieno nel ventaglio dei disturbi ossessivo-compulsivi che rallegrano il mondo contemporaneo, è paragonabile al giocatore senza senno che tira la leva della slot machine. L'obiettivo primario si perde - nel nostro caso sapere, conoscere - e il gesto diventa autoreferenziale, dettato dal bisogno urgente e irrinunciabile di sentirsi ancora parte di un qualcosa, un piccolo ingranaggio di un mondo della quale non riusciamo più a sentirci parte. In un suo straordinario articolo, parlando proprio di Freeman, lo scrittore Marco Mancassola sostiene che “la vera droga del XXI secolo è tutta in questo necessario, adrenalico, senso di connessione, in quest'ultima abissale illusione di esserci.”

Quest'ultima abissale illusione di esserci.

Marco Marongiu


- ON AIR -







OFF







2 commenti:

  1. mi sarebbe dispiaciuto troppo non trovare più le tue parole sul web. a parte che mi manchi tu. ma mi mancava anche la fattoria. e sopratutto ora che mi rendo conto di quante cose nuove e interessanti imparo leggendoti. grazie caro. non smettere di cucinare, mai!
    Simona

    RispondiElimina
  2. Grazie cara. Ho sempre scritto per me stesso, ma non esagero se dico che quando penso all'unico motivo per cui probabilmente non smetterò mai di scrivere è per te e quelle poche altre persone che quello che ho scritto l'hanno sempre reso degno di essere stato scritto.

    Che bello ripetere "scritto" così tante volte. Un abbraccio.

    RispondiElimina